martedì 28 agosto 2012

Estate, tempo di speranze. Estate, tempo dei “tra poco ricomincio e ricomincio come dico io”. Un capodanno senza tre-due-uno che ti aspetta quando sei un po' più abbronzato e meno indaffarato: no lavoro, no stress, no città, almeno per me. E, visto che non c'è nient'altro da fare, allora pensi. Estate, tempo di bilanci. Pensi a come sia andato l'anno, se sia andato liscio "come il piscio" - come disse un giorno un passeggero-genio salendo sulla Sardinia Ferries - oppure se sia rimasto qualche strascico, di cose che avresti voluto fare e non hai fatto.
Un esercizio nostalgico, forse banale che si ripete ogni volta, sul finire d'agosto. Ti sforzi fino a ricordare esattamente non solo a cosa pensassi un anno prima, quale fosse il tuo umore, ma anche il luogo preciso in cui ti trovavi mentre le sinapsi facevano i krumiri; come i bambini americani che interrogano le proprie madri su dove si trovassero mentre assassinavano Kennedy. Io ho concluso che nel momento topico in cui ho pensato “anno di merda. Ok, cosa farò al ritorno dalle vacanze?” ero al mare con una mia amica: maestrale, ovvero sabbia in bocca e acqua ghiacciata; io con un cappellino in testa perché mi ero scottata l'attaccatura dei capelli. 
L'anno scorso prendevo il tesserino di giornalista pubblicista e, quasi al contempo, rimanevo senza un giornale su cui scrivere. Se c'è un destino allora ha proprio voglia di prendermi per il culo, certo che l'ho pensato. Dimenticavo il tempo dei piagnistei, de “la sfiga è mia amica”, dei deliri catastrofisti “non è che la sfiga sono io?”, dei propositi di vendetta “se sono io so anche con chi prendermela”. Spesso questo tempo, quello delle elucubrazioni mentali, è anche il tempo del non fare: è una pacchia lamentarsi ululando alla languida luna d'agosto e sentenziare su come te la passi male mentre gli altri, beh, gli altri stanno sempre meglio. Poi i vacanzieri in bermuda e scarpe da frate tornano a essere impiegati, cassieri, professori, idraulici; le donne smettono i panni della sirena vamp o della naturalista tutta lino e pashmine. Con meno pelle e piedi in vista anche tu devi cercare il tuo, di posto.
Credo sia quello che ho fatto dallo scorso settembre, probabilmente è per questo che ho smesso di scrivere qui, nonostante di cose da raccontare ne avessi, più del 2010, quando questo spazio è nato, e del 2011. Forse è vero che quando inizi a vivere tanto e le esperienze, le persone si affollano e con loro i posti, le idee, sei più impegnato a non perderti nulla che a fermarti a raccontare. Anche perché per raccontare bisogna capire e per capire ci vuole tempo.
Forse ho smesso di scrivere perché m'è presa paura. Perché ho provato a scrivere qualcosa che non fossero le quattromila battute di un post o la recensione di una mostra e ne ho scritto solo un pezzo e mi sono fermata perché faceva troppo schifo. E, quando succede questo, ti rovini più di qualche pomeriggio ma se sei bravo e zitto finisce lì senza testimoni oculari; se lo infliggi a qualcuno e quel qualcuno ti dice che fa schifo passi dall'essere d'accordo, al sentirti offeso, ferito, incompreso. E noiosissimo, allora non scrivi più perché temi il giudizio, temi il “fa schifo-bis”.
Il mio buon proposito per quest'anno è capire, ricominciare da qui, dal blog, a scrivere, se non me la farò troppo sotto. Sì, anche fare dello sport, anche se per qualcuno correre non è uno sport.




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