martedì 9 ottobre 2012

Le parole che non ti ho detto, perché erano sbagliate. (2)





Nell'era digitale il tempo si accorcia e pure l'italiano. Parliamo una lingua “ristretta” perché nessuno ha più minuti da perdere in subordinate e ipotassi, in parole con troppe sillabe. Tranne in pochissimi casi. Il “non è che non” è uno strano caso di italiano che da “espresso” diventa caffè americano, si allunga, si annacqua (secondo alcuni). Forse la lingua, dato che parte dal cervello e dai pensieri e riflette il modo di essere di chi parla, sta perdendo coraggio, è intimidita, abbacchiata, come la generazione che l'italiano lo cambia di più. Certo, la frase scissa (o spezzata) non esiste da oggi: pare sia “colpa” dei francesi; sono loro ad aver contagiato gli italiani in tempi non sospetti, nel Settecento. Ma è dagli anni Ottanta del secolo scorso che questa moda linguistica con la erre moscia è dilagata prima tra i più giovani, poi in una fetta di popolazione sempre più grossa: chi parla l'italiano dell'uso medio, come lo chiama Sabatini.

“Vieni con me?”, “verresti con me?”, “non è che verresti con me?”. Cosa vedete? Io poco sincretismo e molti convenevoli. Poco coraggio e molti giri di parole, velati da una falsa cortesia e da un vero paraculismo; con un'interrogativa negativa mettiamo le mani avanti: neghi già tu che fai la domanda, se nega anche chi risponde, forse è un negare a metà. E, come si dice, mal comune mezzo gaudio?


Frase scissa (o spezzata). Risulta dalla suddivisione di una frase semplice in due frasi, di cui quella col verbo essere mette in rilievo l'informazione nuova mentre l'altra contiene un'informazione già nota. 
(Da: Luca Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria, Torino, UTET, 2006, p. 569.)

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